Quella mattina ricordo di essermi svegliata con tutta calma.
Il sole che entrava dalle finestre. La schiena indolenzita da stiracchiare con cura. Il caffé in cucina. Intorno solo silenzio. Luce. Agosto e un costume umido sullo stendino.
A spezzare il ritmo di un risveglio da ferie è stata la realtà: mentre io pensavo a come trascorrere le mie ore di libertà, da qualche parte nel mio stesso paese c'era qualcuno che avrebbe pagato qualsiasi cifra possibile pur di andare a lavorare.
Salutare la famiglia, tutta quanta, e affrontare la vita. Ufficio, colleghi, scadenze, ritmi frenetici. Qualsiasi cosa purché fosse un giorno come tutti gli altri.
Ricordo di essermi svegliata e aver letto sul cellulare che nella mia stessa Italia in tantissimi si erano svegliati di soprassalto, nel bel mezzo della notte.
La terra che tremava di sotto, la casa che crollava di sopra. Ho immaginato la loro fuga, la loro paura. Consapevole che nemmeno con la più sfrenata fantasia avrei potuto davvero capire cosa si prova in quei momenti.
Il resto di quella notte e dei giorni successivi - le macerie, le divise fluorescenti dei volontari, i dispersi e i ritrovati, la fila di persone che vuole donare il sangue - sono nella mia testa un aggiornamento continuo da leggere sui internet e guardare in televisione.
Un insieme di storie, vite, occhi scavati e mani che si abbracciano. Proposte per ricostruire, iniziative per aiutare.
Oggi vi racconto un progetto di raccolta fondi diverso, perché si propone con sincerità.
Non cerca la ribalta, non si pavoneggia.
Ma si costruisce con il lavoro silenzioso di una fotografa.
E spinge chi partecipa a mettersi in gioco.